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il blog di Luciano Muhlbauer

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Liberi di licenziare. Cosa dice e cosa non dice (ancora) il Jobs Act

December 4, 2014

Il Jobs Act è legge dello Stato e così nel paese soffocato dalla disoccupazione di massa d'ora in poi non ci saranno più ostacoli legali alla libertà di licenziare. Il Senato ha approvato la legge in maniera definitiva ieri sera, nella versione uscita dalla Camera il 25 novembre scorso e con l’ennesimo voto di fiducia.  Tutto come previsto, nessuna sorpresa, nessun sussulto di dignità in casa Pd, a parte un unico voto contrario e due assenti.

Ma cosa cambierà esattamente con questo benedetto Jobs Act, che secondo Renzi risolleverà l’economia nazionale, produrrà nuova occupazione e aiuterà i precari? Ebbene, non si sa ancora con precisione, poiché non si tratta di un testo legge già pronto per l’uso, bensì di una legge delega, cioè di una delega al governo il quale scriverà poi in autonomia la legge vera e propria. E considerato che il diavolo si nasconde nei dettagli, specie quando parliamo di norme e leggi, dove una virgola o una parola possono cambiare tutto, questo non è certamente un fatto trascurabile.

Non a caso, in molti avevano sollevato dubbi di costituzionalità rispetto alla scelta di (auto)sottrarre al Parlamento la podestà legislativa in materie così delicate e rilevanti come il lavoro e i diritti e le libertà dei lavoratori e delle lavoratrici. Comunque sia, i dubbi non avevano i numeri per imporsi e quindi ha prevalso anche nel metodo la strada già intrapresa a suo tempo da Berlusconi. Ebbene sì, perché vi ricordate la cosiddetta legge Biagi di riforma del mercato del lavoro del 2003? Anche allora si procedette con una legge delega (legge 30/2003) e poi il governo scrisse la legge vera e propria con il d.lgs. 276/2003.

Sottolineo il fatto della delega per due motivi. Primo, perché in troppi ora ci diranno che la questione è chiusa e che quindi possiamo anche stare a casa invece che scendere in piazza. Secondo, perché i decreti legislativi che il governo adotterà in base alla legge delega potranno peggiorare ulteriormente il quadro.

Per capire quanto il discorso sia delicato basta considerare l’ampiezza della deleghe, le materie interessate e i “principi e criteri direttivi”. Il governo potrà infatti adottare decreti legislativi finalizzati al “riordino della normativa” in materia di ammortizzatori sociali, servizi per il lavoro e di politiche attive, a definire “disposizioni di semplificazione e razionalizzazione delle procedure e degli adempimenti” in materia di “costituzione e gestione dei rapporti di lavoro, nonché in materia di igiene e sicurezza sul lavoro” e, ovviamente, a scrivere un “testo organico semplificato delle discipline delle tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro”, alla quale poi si aggiungeranno gli interventi normativi in tema di “maternità e le forme di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”.

Insomma, il governo potrà intervenire a tutto campo e con ampi margini di discrezionalità. Peraltro, i principi e criteri direttivi indicano assai chiaramente la direzione di marcia degli interventi.

In primo piano, ci sono ovviamente gli interventi di riscrittura dello Statuto dei lavoratori (legge 300/70), che andranno in direzione di un forte restringimento dei diritti e delle libertà del lavoratore o della lavoratrice e dell’allargamento dei poteri e delle discrezionalità del padronato. Anzitutto, l’articolo 18, già manomesso dalla Riforma Fornero (allora non contrastata dal sindacato confederale, ad esclusione della Fiom), viene definitivamente fatto a pezzi, poiché il reintegro nel posto di lavoro viene abolito completamente in caso di licenziamento illegittimo per motivi economici, mentre rimarrà solo nel caso di “specifiche fattispecie” di licenziamento disciplinare ingiustificato e, ovviamente (perché qui c’è una questione di costituzionalità), nel caso di licenziamento discriminatorio. In poche parole, il reintegro ci sarà soltanto per quei casi che nella realtà sono quelli più difficili da dimostrare da parte della vittiman in sede giudiziaria.

Gli interventi sull’art. 18 sono legati all’introduzione “per le nuove assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio”. Cosa sarà esattamente questo contratto (durata, modulazione delle “tutele crescenti” ecc.) non è scritto nel Jobs Act e sarà definito dai decreti attuativi. Comunque, la nuova disciplina sui licenziamenti varrà sicuramente per i “nuovi assunti” (che è un concetto slegato dall’età anagrafica e comprende anche quanti vengono ri-assunti nello stesso posto di lavoro), mentre non è chiaro cosa succederà per gli altri lavoratori.

Poi ci saranno anche altri interventi sullo Statuto dei lavoratori, come quello che introdurrà la possibilità di demansionamento del lavoratore entro determinati limiti (comunque derogabili dalla semplice contrattazione aziendale) e quello che prevede la “revisione della disciplina dei controlli a distanza” sull’attività lavorativa, attualmente disciplinati in maniera restrittiva a tutela del lavoratore.

Ci saranno poi gli interventi che riguardano gli ammortizzatori sociali, dove si rilancia quanto già previsto dalla Riforma Fornero, cioè l’introduzione dell’Aspi (Assicurazione sociale per l’impiego) come erogatore universale di indennità di disoccupazione. Si tratta di uno strumento che ha suscitato molte aspettative, specie tra i precari e tra quanti oggi sono privi di accesso agli ammortizzatori, ma i punti ancora oscuri sono davvero troppi, a partire dall’ammontare delle indennità, della durata dell’erogazione e dei requisiti d’accesso. Inoltre, cosa più che allarmante, l’Aspi si dovrà fare sostanzialmente a costo zero e quindi tendenzialmente sparirà la cassa in deroga e quelle ordinaria e straordinaria saranno probabilmente rimodulate. Insomma, si rischia che il tutto finisca con il togliere a chi oggi percepisce forme di cassa integrazione per dare qualcosina a una parte di quanti oggi non hanno niente, riducendo però complessivamente il livello delle tutele e delle prestazioni del sistema.

Persino nelle parti del Jobs Act che suonano positivamente, ci sono troppe cose non chiare oppure degli elementi di forte preoccupazione. Faccio soltanto due esempi.

Primo,  si prevede di analizzare tutte le forme contrattuali esistenti e di realizzare dunque degli interventi di “semplificazione, modifica o superamento delle medesime tipologie contrattuali”. Tutto bello, suona bene, ma a parte questa affermazione un po’ troppo generica, usato però nei comunicati stampa governativi per promettere la riduzione del numero dei contratti precari, non c’è assolutamente nulla di concreto.

Secondo, anche nel caso delle cure parentali, della maternità e della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, che giustamente vengono considerate delle cose molto importanti, siamo ad affermazioni piuttosto generiche. Ma poi c’è all’improvviso un dettaglio che suscita qualche preoccupazione: nel caso di “lavoratore genitore con figlio minore che necessita di presenza fisica e cure costanti per le particolari condizioni di salute”, si prevede la possibilità che un altro lavoratore dell’azienda ceda “tutti o parte dei giorni di riposo aggiuntivi” al suo collega in difficoltà. La solidarietà tra lavoratori è sacra, beninteso, ma qui c’è il legittimo sospetto che il governo voglia fare il furbo e scaricare il peso di un welfare sempre più magro sulle spalle dei lavoratori.

In conclusione, se ce l’avete fatta ad arrivare fino a qui, vi consiglio di leggere il testo della legge delega approvato. Guardatevi questa versione, perché così vedete anche le parti modificate dalla Camera settimana scorsa. È utile, perché così si capisce anche che il famoso maxiemendamento, spacciato come “miglioramento” e grande conquista da una parte della “sinistra del Pd”, rappresenta in realtà il nulla.

In Lavoro Tags jobs act, renzi, articolo 18, statuto dei lavoratori, aspi, precarietà, cassa integrazione, demansionamento, controlli a distanza
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PER PINO E LICIA PER NON DIMENTICARE PINELLI ASSASSINATO   La memoria è una cosa importante, serve per affrontare il presente e, soprattutto, il futuro. E non bisogna mai dimenticare Piazza Fontana e la morte poco accidentale di Giuseppe Pinelli, ferroviere e anarchico, accusato ingiustamente nel quadro dei depistaggi all’indomani della strage e fatto precipitare nella notte del 15 dicembre 1969 da una finestra del quarto piano della Questura di Milano. Nessuno avrebbe mai pagato per la sua morte o per le tante bugie e, alla fine, la spiegazione giudiziaria sarebbe stata un misterioso “malore attivo”. Morto Pinelli, il depistaggio continuò e il 16 dicembre fu arrestato un altro anarchico milanese, Pietro Valpreda, che rimase in carcere innocente per 3 anni. Solo molti anni più tardi una parte della verità storica sulla strage di Stato riuscì a farsi largo anche sul piano giudiziario, con l’individuazione dei responsabili della strage nei neofascisti di Ordine Nuovo. La famiglia Pinelli avrebbe dovuto aspettare 40 anni perché lo Stato, nella persona del Presidente della Repubblica Napolitano, riconoscesse la “verità storica” su Pinelli e sulla strage di piazza Fontana. Una verità storica che i movimenti avevano denunciato sin dai primi momenti e che anche oggi, in tempi di galoppante revisionismo governativo, potrà continuare a vivere soltanto attraverso la memoria e l’impegno collettivo. #pinelli #giuseppepinelli #piazzafontana #stragefascista #stragedistato #antifa
12 DICEMBRE PIAZZA FONTANA
STRAGE FASCISTA E DI STATO
 
Sono passati 56 anni dal giorno in cui apparati dello Stato, con la manovalanza neofascista, inaugurarono la cosiddetta strategia della tensione, il cui obiettivo era creare le condizioni p
12 DICEMBRE PIAZZA FONTANA STRAGE FASCISTA E DI STATO   Sono passati 56 anni dal giorno in cui apparati dello Stato, con la manovalanza neofascista, inaugurarono la cosiddetta strategia della tensione, il cui obiettivo era creare le condizioni per svolte autoritarie che potessero fermare i grandi movimenti di massa, di operai e studenti, che negli anni 68 e 69 aprirono nuovi spazi e stavano conquistando diritti sociali e civili per tutte e tutti. Nella strage di piazza Fontana morirono direttamente 17 persone, ai quali va aggiunto Pino Pinelli, ingiustamente accusato e fatto volare da una finestra della Questura di Milano. Anche quest’anno il 12 dicembre i movimenti milanesi, ai quali si sono aggiunte le associazioni palestinesi, sono scesi in piazza non solo per ricordare, ma anche per ribadire che senza il protagonismo delle persone e dei movimenti, senza conflitto, i diritti e le libertà sono sempre sotto tiro, allora come oggi. Specie oggi, in tempi in cui vecchi fantasmi, dalle politiche autoritarie e repressive fino alla guerra, si stanno riaffacciando.   #piazzafontana #stragefascista #stragedistato #antifa
12 DICEMBRE PIAZZA FONTANA STRAGE FASCISTA E DI STATO #piazzafontana #stragefascista #stragedistato #antifa
12 DICEMBRE PIAZZA FONTANA 
STRAGE FASCISTA E DI STATO 

12 dicembre, strage di piazza Fontana,
Pinelli assassinato Valpreda innocente
A cinquantasei anni dalla strage di Piazza Fontana, ricordiamo la matrice fascista di quell’attentato, la mor
12 DICEMBRE PIAZZA FONTANA STRAGE FASCISTA E DI STATO 12 dicembre, strage di piazza Fontana,
Pinelli assassinato Valpreda innocente A cinquantasei anni dalla strage di Piazza Fontana, ricordiamo la matrice fascista di quell’attentato, la morte di Giuseppe Pinelli e l’ingiusta persecuzione contro gli anarchici. Non si tratta di un esercizio rituale, ma della necessità di leggere il presente attraverso le continuità che lo attraversano. Ci troviamo alle 18.30 in piazza 24 Maggio a #Milano #piazzafontana #stragefascista #stragedistato #antifa
ALLA PRIMA DELLA SCALA, LIBERTÀ PER SHAHIN
Mohammad Shahin, imam torinese regolarmente residente in Italia, è stato fermato e rinchiuso nel CPR di Caltanissetta con l’obiettivo di espellerlo verso l’Egitto, dove peraltro sar
ALLA PRIMA DELLA SCALA, LIBERTÀ PER SHAHIN Mohammad Shahin, imam torinese regolarmente residente in Italia, è stato fermato e rinchiuso nel CPR di Caltanissetta con l’obiettivo di espellerlo verso l’Egitto, dove peraltro sarebbe a rischio la sua incolumità. La sua colpa? Essere tra gli animatori delle mobilitazioni torinesi contro il genocidio e per la Palestina. In altre parole, un anticipo di quello che succederebbe a tutti e tutte noi se dovessero passare la proposte di legge presentate dai partiti di governo e dalla destra del Pd (proposta Derio), che intendono equiparare antisemitismo e antisionismo, mettendo così de facto fuorilegge ogni critica all’occupazione israeliana della Palestina. Oggi alla prima della Scala, insieme al sostegno alla vertenza dei lavoratori e delle lavoratrici della Scala, è stato ribadito che non intendiamo farci mettere il bavaglio e che Shahin deve tornare libero. Buon Sant’Ambrogio e Palestina libera! #FreeShahin #PrimaScala
In occasione della Giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese, istituita dall’ONU nel 1977, si sono tenute due manifestazioni nazionali a Roma e a #Milano. C’è chi pensa che ormai non bisogna più mobilitarsi, perché c’è un cessate il fuoco e perché si sta andando verso la pace, ma purtroppo la realtà sul campo è ben diversa. La maggior parte di Gaza è sotto occupazione militare israeliana e nella restante parte, dove si trova ammassata tra le macerie la quasi totalità della popolazione, continuano gli interventi militari e le uccisioni e gli aiuti umanitari entrano solo con contagocce. Per non parlare di quello che accade in Cisgiordania, dove coloni e esercito di occupazione intensificano addirittura le operazioni di pulizia etnica in un crescendo di violenza. Tutto questo è possibile solo grazie alla copertura dei governi alleati di Israele, tra cui quello italiano, che blaterano di una pace che non c’è e che, di fatto, altro non fanno che proseguire la loro complicità con i crimini di Israele. Ecco perché bisogna continuare a stare in piazza, a intervenire in ogni occasione e non permettere mai che cali il silenzio su quello che accade in Palestina. #Gaza #StopGenocide #EndOccupation #FreePalestine #Resistenza

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